Page 81 - Milano Periferia
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sui vinti di una grande metropoli, sui suicidi". Per "affermare
e migliorare la razza" Albertini fece sventrare il centro storico
espellendo senza un serio programma sostitutivo gli abitanti
meno abbienti delle vecchie case della cerchia interna. Proli-
ferarono ai bordi della campagna agglomerati di case minime
per reclutare gli sfollati. Sorgevano i ghetti del Regina Elena
(oggi Mazzini), dello Stadera (ai confini attuali del Gratosoglio),
del Solari, della Trecca. Piazza del Duomo e dintorni doveva
essere dei ricchi e delle automobili. Chi non trovava alloggio,
soprattutto se era vecchio, veniva rinchiuso in un casermone
di corso XXII Marzo, detto la Senavra.
A furia di monumentalismo i fascisti vagheggiarono anche la
idea di spostare il cimitero di Musocco per innalzare all’im-
bocco delle autostrade Nord "l’arco di ingresso, l’insegna
augurale della città, segnacolo - come scrissero Portaluppi
e Semenza - della vita risorgente e trionfante su sepolcri di-
spersi". Allontanati i vivi, per Mussolini dovevano evacuare
anche i morti.
Per obiettività storica i fascisti in periferia non fecero solo case
minime. Costruirono quartieri meno diseredati, ma pur sempre
assai popolari in tutto: il Molise, il San Siro, I’Alzaia Pavese,
il Diaz (oggi tutt’uno con la vecchia Barona) e, ultimo prodotto
del ventennio, il Lorenteggio. Lo stile freddo e anonimo degli
agglomerati di questo periodo sfiorò le facciate in calcina delle
casette di un tempo precedente. La promiscuità edilizia era
ormai la norma.
Quando finì la guerra, Milano stentò a riconoscersi. Le distru-
zioni dei bombardamenti fecero il resto. Il piano regolatore del
1953 non seppe fare altro che prenderne atto mascherando in
qualche modo le brutture peggiori lasciate dalla dittatura. ll
monocentrismo urbanistico e il caos periferico avevano conta-
giato un po’ tutti: a scapito dell’antico.