Page 21 - Milano Periferia
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125, 126), le fontanelle di ormai cent’anni, che i meneghini chiamano
"vedove" (105), le quinte tranquille e discrete dei primi quartieri popo-
lari (79), lo scheletro di un sovrappasso (59).
Soltanto certi paesaggi ferrigni di macchine, di tralicci e di capannoni
(56, 76), i penetranti ritratti dei tornitori artigiani, visi di intensa espres-
sività rasserenata dal lavoro (70, 72), le concentrate figure in tuta degli
avvolgitori di cavi della Bicocca (73, 74, 75, 76), riaffermano ancora il
valore dell’ambiente in sintonia con gli abitanti e loro sostegno: perfino
i bambini che ruzzano ai cancelli o presso i portoni sembrano diversi
o meno tristi (108, 109,111),le donne ridiventate massaie con le borse
pendule, esprimono fiducia e fervore solidale negli appuntamenti presso
i mercatini di piazza, che offrono pesche e vestiti a buon prezzo (97,
98, 99, 100), il pensionato passeggia placido, leggendo il giornale sul
marciapiede di casa sua (103), la famiglia s’aggruma da generazioni at-
torno al custode della barchessa pittoresca (112), il tempo libero é or-
ganizzato da circoli e oratori (117, 118), il Rondò del Rico in Via Ripa-
monti col suo "berceau" emerge di nuovo, come in una leggenda, ra-
sentando il tram, in un lucore di alba o di tramonto (113).
Con piacere rivediamo queste immagini, creduli che la vecchia periferia
abbia ancora sussulti, palpiti di sanguigna vitalità.
Fosse Così sempre! Tale illusione del resto é confermata dal delizioso
"collage" (121, 122, 123, 124) che affianca una vecchia gilera a una strada
tipica dei borghi, dove l’uomo dei "rôttamm" spazza con la dignità di
un professore il suo carrettino, al capanno che uno spirito originale va
decorando con un brandello di reclame, dolce chimera dal viso di Alida
Valli, a un barbaglio di rotaie davanti a una rustica porta isolata tra i fili
spinati. Accostamenti indovinati, dopo la magnifica foto della giostra ap-
poggiata su un lucido pavé un po’ sconnesso: in primo piano quelle
mamme cicciottelle e casalinghe, quei bambini rimpannucciati per il car-
nevale e dietro le coppie abbracciate che scantonano altrove (119, 120).
Tale immagine più delle altre condensa un significato che gli autori per
pudore e castigatezza non sbandierano mai. Un tempo felice s’é fermato
al 1920, allo stile di quella casa che fa da sfondo, su cui forse sorgerà
tra non molto qualche orrido grattacielo.
Intanto meditiamo come quell’uomo (é il "bergamasco" pastore dell’ul-
timo gregge visto una pagina innanzi? Comunque gli si accomuna ideal-
mente) che circa a metà del libro sulla montagnetta di San Siro (52)
guarda, seduto di schiena, il berretto sulle orecchie, forse tra crucciato e
meditabondo lo stendersi della megalopoli immane. Venuto da terre anco-
ra vergini di costruzioni monetizzate, ne indovini lo stupore dall’inarcarsi
delle spalle, dalla posa contemplativa. Che in fondo é quella dell’obbiet-
tivo dei due fotografi, Così impavidi nel decifrare una realtà inesorabil-
mente caduca, nel fissare il pericolo, la minaccia continua di ridursi ad
ectoplasmi, a esseri deformati ed amorfi in una città semidistrutta dal
bombardamento dei cantieri voluto da una civiltà consumistica (53).