Page 18 - Milano Periferia
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paesaggio che nella periferia di ieri respirava ancora attorno alle case
oggi é diventato cosmesi, ornamento di stenti alberelli in pochi metri qua-
drati, di minuscoli "robinson" come al Gratosoglio da guardare e "vie-
tato calpestare"(*); mentre la campagna vera inizia tristemente con prati
già aridi, pieni di sterpaglia e d’ogni ciarpame.
Li chiamano eufemisticamente quartieri-giardino,termopoli di trenta o qua-
ranta palazzoni, ma sì anche piastrellati e lucidi, che si affacciano su
invisibili recinti a prato.
Il cemento, lo smog ora profumato alla diossina, la pubblicità che decora
le facciate e aggiungi l’indifferenza, l’isolamento, l’alienazione dello svi-
luppo tecnologico sono tutti termini che possono appaiarsi alla periferia
di oggi: ognuno di essi ripropone un problema irrisolto. Il suo "cuore"
é emigrato altrove, ma dove?
Bisogna fare la Stramilano per trovare un negozio o un bar accogliente,
quando vivi in certi quartieri troppo esuberanti di fabbricati, privi di cen-
tri di riunione, onde la necessità sempre più avvertita di socializzazione
predicata dai comitati di quartiere e dai vari collettivi, ciò che in fondo
attesta ancora i bisogni della vecchia periferia, quello soprattutto di amal-
gamare i ceti e di salvare l’individuo snidandolo dalla sua depressa "apar-
theid" fatta di televisione e di ascensore in spazi minimi. l miei vagabon-
daggi nella periferia di oggi finiscono sempre in cogitazioni deprimenti:
col tramonto della città divenuta astratta e tragica, noti l’inurbamento uni-
dimensionale e spiritualmente povero, l’antitesi ricorrente tra la reggia e
il tugurio, che sono pari tuttavia per la sola ricerca di comodità e di gua-
dagno senza la traccia d’una struttura unitaria e plurima di comunicazione
a diversi livelli (sociali e culturali oltre che economici), la violenza che
ammorba i ghetti, con la droga, i sequestri, le rapine. Più che la ricerca
d’un efficientismo asettico che intenda preferenziare i campi di calcio, di
basket, di rugby, i palasport e magari pretese di grandi teatri e sale mon-
dane come in centro, proporrei più prosaicamente asili-nido, consultori
per le madri lavoratrici, circoli ricreativi per i vecchi, centri culturali di
carattere anche locale e individuato per i giovani, parchi-gioco per i bam-
bini, biblioteche gratuite.
L’iconografia periferica ormai é purtroppo fissata nell’aspetto che cono-
sciamo; almeno sia consentito salvare l’uomo nuovo che la abita soprat-
tutto gli emigrati dal meridione (pugliesi di Canosa, calabresi, siciliani,
pellegrini arrivati in vista della Mecca, insomma tutti quelli che il Deme-
trio di De Marchi chiamava "napolitani") sradicati dalla loro terra e
lasciati al loro isolamento in una città che sembra ostile.
(*) Vedi il gustoso commento del già citato Bernacchi.