Page 20 - Milano Periferia
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derno (cfr. "La ringhiera" e "Osterie a Milano"), questa volta affronta
il tema proprio nel suo aspetto più deviante ed eterodosso, al punto in
cui il "bello" una volta vagheggiato si fà dissonante e atonale e accoglie
stridori di slums, di bidonvilles, vedute di strade sconsolate e pompose
nella loro inutile larghezza pur sotto la luce limpida del cielo di Lombar-
dia, termitai pretenziosi di funzionalità avveniristica fatti balenare come
miraggio agli apolidi che entrano in Milano a cercare un asilo con l’ascen-
sore che funziona, il bagno lustro di maioliche, la moquette, il riscalda-
mento centrale.

Le immagini che si svolgono, sapientemente inquadrate, in un discorso
lucidissimo, tra il cartesiano e l’antropologico, mostrano anche un’impa-
ginatura originale che, lungi dal cercare il supporto della pagina bianca
com’é d’uso in certi montaggi subito superati, assicura il fluire d’un pen-
siero profondo che trova sempre nello specifico iconico, un periodare in
crescendo, via via arricchito di motivi, aderentissimo alle cose dette.

La "Milano-periferia" appare dunque in questa sequenza tra istanze di
larvata polemica e di controcultura; ma si rileva anche la ostinazione
amorosa con cui d’un mondo ormai negato, si ripropongono superstiti ef-
figi, lineamenti ormai appannati e per sé labili riportati ad una fissità
ossessiva e struggente.

Il documentario si apre sulla banlieu dei quartieri-dormitorio, quasi a indi-
care che questo é l’ingresso ormai fatalmente scontato e indifferenziato
d’ogni grossa città: Milano, Torino, Roma, Amburgo, Chicago prigioniere
in una cintura di ferro e di cemento, avvolte in una selva di insegne pub-
blicitarie bislacche, affette dall’ipertrofia degli agglomerati assurdi cre-
sciuti a caso su un corpo troppo turgido e malato (foto 4, 5, 6, 14, 22),
i prati avvizziti e sporchi (23, 24) e poi lo squallore, l’anonimato, la gente
svuotata di sé che affolla lo spaccio, solo obbligato centro di raccolta
(36, 37, 38, 39), i bambini rimasti a guardia di abituri spenti o che giocano
su spazi già prenotati dalle ruspe (17, 22, 25, 29, 30), i vecchi che pas-
seggiano verso un rifugio soltanto fantasticato e hanno l’aria di deportati
che la solitudine ubriaca e dissalda (43).

A mano a mano che l’obbiettivo, continua l’indagine, spinto a individuare
un problema o a scoprire un dramma, la città già sembra animarsi a con-
tatto col vecchio suburbio. Anche qui però il giro delle annotazioni é di
uno spessore ambivalente, com’é di ogni opera meditata, che si debba in-
terpretare. l toni del linguaggio fotografico, punto emotivi, sono tra i me-
no avvertibili e i meno romantici. Sarebbe facile abbandonarsi all’elegia
del recupero, del tempo ritrovato. E invece no. Anche questa periferia é
soggetta al precario, appesa al filo invisibile del provvisorio. Gli stabili-
menti affiorano ancora infatti in una atmosfera di sopravvissuto e di pa-
tetico (54, 55, 56, 57, 63) e così i caffé tranquilli e defilati per la sosta e le
chiacchiere (104), le bottegucce di panettieri e di parrucchieri inghir-
landate dal floreale (91, 92), i negozi di casalinghi (89,103), gli androni
scuri delle vetuste ringhiere, le semplici gargotte con la pergola (94, 107,
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